“Le parole sono pietre” affermava Carlo Levi: esse possono esortare gli animi a nobili ideali, a rivoltare coscienze assopite. Ma quando esse sono pronunciate o scritte da persone che dovrebbero, aldilà del proprio credo religioso e dell’appartenenza politica, far riflettere, ci si rende conto che quelle parole hanno il solo obiettivo di sdoganare e legittimare atteggiamenti e modi di pensare e agire di gretto anticlericalismo quasi sia un onore, un merito, un mast…
Sono proprio queste parole, usate irresponsabilmente e rozzamente a generare quel clima di odio, di volgare e sciocco pregiudizio, di sospetto. Pazienza!
La tentazione sarebbe quella di controbattere ad una ad una quelle parole, ma si sa parola su parola, pietra dopo pietra si finirebbe per ingenerare altre parole, altre pietre.
Preferiamo incappare con ben altre prediche, magari nella “predica delle correzioni”, rappresentata dalla pagina delle beatitudini. Non che la parola “beato” ci faccia istintivamente guardare in alto, preferiamo la parola “fortunati loro” che istintivamente ci porta a guardare in basso. Perché Gesù non si riferiva a quelli di lassù, interpellava e interpella quelli di quaggiù. È sempre questione di piedi per terra, non di passi fra le nuvole. La felicità e serenità promessa è già al presente, almeno come anticipo, ed è un anticipo capace di riempire smisuratamente il cuore umano.
“Beati, beati, beati…”, come fossero tante nicchie. Ma la beatitudine non è una nicchia, ma una posizione scomoda. Se la memoria scolastica non mi tradisce, in certe scuole rabbiniche si traduceva “beati” con “siete al posto giusto se…”. Ebbene per essere a posto di fronte al Signore, bisogna farsi trovare sempre in movimento, per strada, i piedi fanno male, e non soltanto i piedi.
Il Dio della felicità è un Dio esigente, che ti fa prendere immancabilmente la strada più difficile, operare le scelte più costose, adottare le decisioni più impegnative. La gioia che assicura Lui non la trovi mai sul versante della facilità o della comodità. E poi, ammesso anche che si tratti di nicchie, non sono a scelta. Vanno prese in blocco, così come tutto il Vangelo dev’essere accettato nella sua interezza, senza eliminare le parti sgradite. Non ha senso che io mi interroghi se preferisco essere povero, ovviamente non solo nel portafoglio, ma anche nell’animo, nella testa, negli atteggiamenti, oppure consolato, o arruolato sul fronte della pace. La figura del cristiano viene fuori unicamente mettendo insieme tutte queste linee: dolcezza, misericordia, purezza di cuore, passione per la giustizia. A sentire proclamare quella parolina “beati”, viene da fantasticare e da pensare ad un coro possente, a pensare ad una piazza acclamante, ma invece no quel “beato” è solo sussurrato.
Gli altri, se si prende sul serio quel discorso, certamente mi diranno che sono un ingenuo, uno che non ha capito niente della vita, uno fuori dalla realtà, insomma uno da compiangere, se non proprio da curare. Ma è soltanto Lui che si complimenta con me, se ho il coraggio di fare quelle scelte. I più mi compatiranno o derideranno, ma la strada delle beatitudini non è solo aspra, ma è anche solitaria. Pochi sospettano che la gioia si possa trovare in vicoli stretti e isolati.
Si tratta in definitiva di lasciar trasparire la voglia di qualcosa di bello, il proposito di produrre qualcosa di buono, l’aspirazione a qualcosa di pulito. Si dica quel che si vuole ma per ricamare il lenzuolo mia povera madre si pungeva le dita chissà quante volte. E quel giorno, lei, al pari di tanti altri, lasciava intravvedere il segreto….per afferrarlo, basta non fermarsi alle apparenze. Buona giornata!