Il Cristiano non è mai un uomo "arretrato"
Il termine zizzania, in ebraico, ha la stessa radice di Satana. E richiama, nel nostro vivere comune, l’idea di “disputare”, di “dividere”, del criticare sempre per il gusto di farlo. A voler ben guardare siamo portati, con i tempi che corrono, a posizioni nette, a porre confini ben precisi ad ogni questione e per ogni circostanza. Qui i buoni, di là i cattivi, questa e la verità, e, ahimè, questo e l’errore. Si direbbe che un difetto tipico delle persone cosiddette religiose sia il bisogno di far coincidere la virtù, vera o presunta poco importa, con la separazione, naturalmente attraverso dei confini visibili e definitivi. Si ha la pretesa di sradicare il male, classificandolo, etichettando esattamente le persone quasi fossero prodotti di un supermercato. Se certi moralisti, magari travestiti da giornalisti, non avessero motivi per stracciarsi le vesti, e tentare di farle strappare, e per gridare contro le malefatte altrui vere o presunte, non riuscirebbero più a campare. Campano, appunto, sulla zizzania. La zizzania e il loro grande e proverbiale “datore di lavoro”. Non sta a noi estirpare la zizzania presunta o tale, tuttavia e lecito, e doveroso, cercare di sconfiggerla nell’unica maniera efficace: impegnandoci personalmente a seminare nella pazienza e a coltivare con passione tutto il bene possibile. Si dichiara che occorre odiare il peccato, lo sbaglio, e amare e rispettare i peccatori, coloro che sbagliano. Troppi esempi della storia, anche recenti, stanno a dimostrare che, nella realtà, le cose non sono così semplici. E ahimè, c’è sempre il rischio di togliere di mezzo le persone, senza naturalmente riuscire a correggere il male, il difetto, anzi rafforzandolo. Rimane l’ipocrisia più sfacciata: col proposito di colpire il male, sovente ci si sbarazza di ciò che dà fastidio, ci disturba, minaccia le nostre ambizioni, fa traballare i nostri piccoli troni o le nostre piccole poltrone. Si afferma che bisogna schierarsi nettamente, fare scelte di campo. Bisognerebbe ricordarsi che quanto a posizioni, prima che davanti agli altri, occorre prenderle all’interno di noi stessi, di fronte al male che ospitiamo e fagocitiamo dal nostro dentro… Il vero scandalo e quello off erto da chi pensa di dimostrare le proprie virtù denunciando le colpe altrui. Credono di essere fedeli, anche e magari, ad un codice deontologico perché si fanno investigatori delle infedeltà e dei “difetti” del prossimo. Per caso la pazienza non ha qualche grado di parentela con l’umiltà? L’ultimo dei novantanove “bei nomi di Dio” custoditi e professati dalla tradizione musulmana e il “Pazientissimo”. Abbiamo imparato l’intransigenza. Non manchiamo di indignarci e di mugugnare, siamo campioni di sdegno; non potremmo in fretta e furia riparare con qualche lezione di sostegno che il nostro Dio, con la sua lezione di indulgenza, vuole darci insegnandoci che il male e il difetto altrui lo si combatte senza tregua solo con la benevolenza e con la dolce speranza? Ostinarci a guardare e denunciare chiassosamente il male, o presunto tale, che sta fuori di noi nel campo “nemico”, significa spesso e sovente non vedere lo sbaglio, i difetti che affondano, indisturbatamente, le radici dentro di noi. Per caso, la tanto conclamata “completezza d’informazione” non dipenderà da qualcosa di più fondamentale, ossia dalla completezza di sguardo? Buona giornata